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Esplorando il verde urbano

Per domenica 6 ottobre 2024, in collaborazione con la IV Circoscrizione (Città Nuova – Barriera Nuova e San Vito – Città Vecchia) del Comune di Trieste, abbiamo organizzato una passeggiata naturalistica dedicata alla scoperta del verde urbano di Trieste.

👣 Partendo dal Giardino di via San Michele, le nostre guide, Marco Paparot e Francesca Soglian, vi accompagneranno fino a Piazza Hortis parlando della vegetazione che caratterizza e arricchisce questi luoghi, raccontando anche qualche curiosità.

🌱 Vi invitiamo quindi a partecipare a questa iniziativa che mira a valorizzare l’ambiente cittadino e sensibilizzare la comunità verso la conservazione del nostro patrimonio naturale e l’importanza della sostenibilità urbana:
📅 domenica 6 ottobre 2024
🕙 10:00 – 12:00
📍 Ritrovo: Via della Cattedrale, ore 9:45 (vedi mappa cliccando qui)
La partecipazione è gratuita!

Il verde urbano non è solo decorativo, ma una risorsa fondamentale per il benessere delle città e dei suoi abitanti.

ℹ️ Per info o domande, lascia un commento o contattaci:
📧 ecothema@gmail.com
☎️ 320 275 3277

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Workshop “Tecniche tintorie naturali e sicure” al Civico Orto Botanico di Trieste

Siamo felici di annunciare la ripresa delle attività con il workshop Tecniche tintorie naturali e sicure, un evento per tutti gli appassionati di sostenibilità e artigianato che si svolgerà nelle mattinate di sabato 31 agosto e di domenica 1° settembre presso il Civico Orto Botanico di Trieste.
Questo workshop offre un’opportunità unica di esplorare l’antica arte della tintura naturale, una pratica che affonda le sue radici nei tempi antichi e che è stata tramandata di generazione in generazione.

Un viaggio nei colori naturali con Ennia Visentin

Partecipando, avrete la possibilità di immergervi nel vasto mondo dei colori organici che per secoli hanno fornito sostanze coloranti per tingere tessuti. Il workshop vi guiderà attraverso i metodi di estrazione e utilizzo dei principi coloranti, con un focus particolare sulla tintura della lana e di altre fibre tessili animali e vegetali.
A condurre le due giornate, sarà Ennia Visentin, nota pittrice e decoratrice pordenonese, nonché docente di decorazione e Trompe l’oeil, e autrice del libro “Natura & Colore. Nuove Prospettive dell’Arte Tintoria”.

Un approccio sicuro e sostenibile

Una delle peculiarità del workshop è l’attenzione alla sicurezza e alla sostenibilità. Verranno esaminate sostanze e ricette completamente naturali e atossiche, garantendo una tintura non solo perfetta e solida, ma anche autenticamente green. Questo approccio rispecchia il nostro impegno nel promuovere pratiche rispettose dell’ambiente e della salute umana.
Il workshop sarà diviso in due giornate ricche di studio ed esercitazioni pratiche, permettendo ai partecipanti di mettere immediatamente in pratica le tecniche apprese.

Parte del progetto “Il Verde e la Scienza”

Logo del progetto Il Verde e la Scienza

Tecniche tintorie naturali e sicure si inserisce all’interno del progetto Il Verde e la Scienza, avviato a marzo 2024 e finanziato dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia. Questo progetto mira a integrare la consapevolezza ambientale nell’educazione dei giovani, promuovendo concetti di crescita intelligente, sostenibile e solidale. Sebbene rivolto principalmente agli studenti, il progetto coinvolge l’intera comunità attraverso eventi che legano la cultura scientifica a quella umanistica.

Questo workshop non è solo un’opportunità per apprendere una nuova abilità, ma anche per diventare più consapevoli e responsabili verso l’ambiente. Partecipando, contribuirete alla diffusione di pratiche sostenibili e all’arricchimento culturale della nostra comunità.
Vi aspettiamo!





ISCRIZIONI E INFORMAZIONI
I posti sono limitati a 15 persone, quindi è consigliabile prenotare al più presto.
Per iscriversi al workshop e ottenere ulteriori informazioni, siete invitati a contattarci direttamente all’indirizzo e-mail: ecothema@gmail.com o al numero telefonico: +39 320 2753277

I DETTAGLI DEL WORKSHOP:
Date: sabato 31 agosto e domenica 1° settembre 2024
Orario: 9:00 – 13:00
Luogo: Civico Orto Botanico – via De Marchesetti, 2 Trieste
Per raggiungerci con l’autobus urbano: linee n. 25, 26, 26/ (festivo)
Numero massimo partecipanti: 15 | Costo: 40,00€ a persona
L’ingresso al Civico Orto Botanico è gratuito
Materiali e attrezzature (a uso personale a carico di ogni corsista):
• Quaderno per appunti, guanti protettivi, vestiti da lavoro.
• Forbici da giardinaggio (facoltativo). Vasetto di vetro con coperchio da circa mezzo litro.
• I campioni di lane tinte resteranno ai corsisti.

PROGRAMMA
Primo giorno:
• Preparazione della fibra tessile al processo tintorio
• Spiegazione sulle caratteristiche delle differenti fibre tessili
• I diversi tipi di lavaggio
• I diversi tipi di mordenzatura tossici ed atossici
• Esercitazione pratica di mordenzatura sicura ed atossica sulla lana in fiocco
Secondo giorno:
• Le piante coloranti e il processo tintorio
• Spiegazione sui principi coloranti presenti nei vegetali
• Dimostrazione di estrazione del colore
• Preparazione del bagno di colore e procedimento di tintura
• Esercitazione pratica sulla lana
Docente: Ennia Visentin

Ennia Visentin


Ennia Visentin è un’esperta di decorazione murale e tecniche tintorie naturali. Dal 1991, si dedica allo studio e all’applicazione di tecniche antiche come Trompe l’oeil, affreschi su marmorino e imitazioni di legni e marmi policromi. Specializzata anche in gnomonica, ha realizzato numerosi orologi solari nel Triveneto e ha collaborato con varie pubblicazioni.
Ennia ha esposto le sue opere in mostre internazionali e ha insegnato tecniche di decorazione pittorica presso importanti istituti in Italia. Negli ultimi anni, si è focalizzata sulle piante tintorie, sperimentando l’estrazione di coloranti naturali da materiali di scarto. Ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi e collabora con l’Ecomuseo Regionale delle Dolomiti Friulane su progetti di filiera corta per la produzione di coloranti vegetali.
Nel 2019 ha pubblicato “Natura & Colore. Nuove Prospettive dell’Arte Tintoria”.

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No Mow May™: perché non tosare i prati a maggio aiuta la biodiversità

In un mondo sempre più attento alla sostenibilità e alla conservazione dell’ambiente, iniziative come il No Mow May™ stanno ottenendo sempre più popolarità e attenzione a livello internazionale. No Mow May™, che letteralmente significa “Maggio senza falciatura”, invita i proprietari di giardini a lasciare l’erba incolta per tutto il mese di maggio. Vediamo insieme perché.

Cos’è il No Mow May™

L’idea alla base di No Mow May™ è semplice: offrire un ecosistema più ricco e variegato che possa supportare una maggiore biodiversità. Durante il mese di maggio, quando la primavera è in pieno sviluppo e la natura si risveglia dopo l’inverno, molti animali e insetti sono alla ricerca di cibo e di habitat adatti alla riproduzione. L’erba alta e le piante spontanee offrono sia nutrimento sia rifugio da predatori e intemperie, creando così un microhabitat essenziale per la sopravvivenza di molte specie. È sufficiente, quindi, interrompere l’uso del tosaerba e lasciare che la natura segua il suo corso nei nostri giardini. Molte persone scoprono che, oltre a favorire la biodiversità, questa pratica può anche ridurre il lavoro di manutenzione del giardino e i costi energetici associati alla falciatura regolare.

Origini di No Mow May™

L’iniziativa No Mow May™ nasce nel Regno Unito, dove è stata promossa per la prima volta dall’organizzazione ambientalista Plantlife. A partire dagli anni ‘30, con la scomparsa del 97% dei prati fioriti, in UK sono andati persi importanti quantitativi di alimenti vitali necessari agli impollinatori, come api e farfalle. Grazie ai social e all’utilizzo di #NoMowMay, l’idea si è diffusa oltre i confini britannici. Per esempio, negli Stati Uniti e in Canada, gruppi locali e comunità hanno sposato l’iniziativa adattandola alle proprie condizioni ambientali e sociali. In Germania la Società Tedesca di Orticoltura invita la popolazione a lasciare che il prato cresca senza restrizioni durante il mese di maggio, poiché le indagini hanno rilevato un aumento fino a dieci volte del numero di fiori ricchi di nettare se la tosatura non è frequente. No Mow May™ ha ricevuto un’accoglienza particolarmente positiva nelle città, dove la perdita di biodiversità è spesso maggiore a causa dell’urbanizzazione intensiva e della predominanza di paesaggi artificiali.

Benefici per la biodiversità

Come già evidenziato, durante il No Mow May™, l’erba più lunga e le piante spontanee non vengono rimosse permettendo la fioritura di molte specie vegetali che normalmente sarebbero tagliate prima di poter fiorire. Queste piante offrono una fonte vitale di nettare e polline per gli impollinatori. Inoltre, l’erba alta fornisce un habitat per insetti, piccoli mammiferi e uccelli, proteggendoli dai predatori poiché ci sono più spazi sicuri per nidificare. La diversità delle piante in un prato non tagliato è spesso superiore rispetto a quella di un prato regolarmente falciato. Questa varietà di piante attrae e sostiene una gamma più ampia di specie animali. Studi hanno dimostrato che aree con maggiore biodiversità vegetale ospitano una più ricca varietà di specie faunistiche, creando un ecosistema più resiliente e autosufficiente.
No Mow May™ non è solo una pratica temporanea che riguarda un mese; piuttosto, rappresenta un cambiamento di paradigma nel modo in cui consideriamo e gestiamo i nostri spazi verdi. Gli impatti di questa iniziativa possono estendersi a lungo termine, influenzando le pratiche ambientali comunitarie e promuovendo un approccio più sostenibile all’orticoltura e alla gestione del paesaggio. Le piante che hanno avuto la possibilità di crescere liberamente e di completare il loro ciclo di vita possono spargere i loro semi, espandendo la diversità vegetale negli anni successivi. Inoltre, gli impollinatori che beneficiano di queste risorse, possono crescere in numero, migliorando la salute complessiva degli ecosistemi locali.
Nonostante i benefici indiscutibili per l’ambiente, No Mow May™ ha anche suscitato critiche. Alcuni sostengono che giardini e prati non falciati possano apparire trascurati o disordinati, in contrasto con le normative locali sull’ordine del territorio o con gli standard comunitari, e che i luoghi con l’erba più alta siano frequentati da animali che l’uomo in genere considera “fastidiosi”.
Da un punto di vista ambientale, è essenziale trovare un equilibrio tra il mantenimento di pratiche ecologicamente sostenibili e le esigenze della comunità. Mentre No Mow May™ promuove la biodiversità, è importante anche considerare e mitigare gli aspetti negativi.
Ridurre la frequenza di taglio dell’erba non solo aiuta la biodiversità, ma contribuisce anche alla riduzione dell’impronta carbonica. Il minor uso di tosaerba a benzina o elettrici, per esempio, diminuisce il consumo di energia e le emissioni di CO2. Inoltre, un prato più naturale richiede meno acqua e fertilizzanti chimici, riducendo ulteriormente l’impatto ambientale e promuovendo pratiche di giardinaggio più sostenibili.

Foto di un giardino incolto a cura dello Staff di Ecothema

Impatti sociali e comunitari

Uno degli impatti più evidenti di No Mow May™ è l’aumento della consapevolezza e dell’educazione ambientale tra i partecipanti e nelle comunità. Questo mese senza falciatura offre l’opportunità di osservare da vicino come un piccolo cambiamento nelle abitudini quotidiane possa avere effetti positivi sugli ecosistemi locali.
No Mow May™ può anche servire come catalizzatore per il dialogo e la collaborazione all’interno delle comunità, promuovendo iniziative di quartiere che possono spaziare dalla condivisione di risorse alla creazione di giardini comunitari biodiversi. Questo consente di rafforzare il senso di comunità e la responsabilità collettiva verso la conservazione dell’ambiente. Quindi la sfida che No Mow May™ presenta non è solo ecologica ma anche culturale, spingendoci a riconsiderare le nostre aspettative su come dovrebbe apparire un giardino e qual è il suo scopo.
Se riuscissimo a trasformare questo mese di astensione dalla falciatura in un’abitudine più regolare, i benefici a lungo termine per la biodiversità globale potrebbero essere davvero notevoli.

Foto di copertina: Alexa da Pixabay

Sitografia:
https://www.plantlife.org.uk/
https://cumbria-in-bloom.org.uk/no-mow-may-how-to-get-ten-times-more-bees-on-your-lockdown-lawn/
https://www.greenme.it/casa-e-giardino/falciare-prato-maggio/
https://www.thegoodintown.it/cose-nomowmay-e-perche-farlo-anche-a-giugno/
https://pacifichorticulture.org/articles/your-urban-backyard-habitat-can-support-biodiversity/

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‘Onde di Storia’ al Museo del Mare di Trieste

Siete pronti a navigare attraverso le onde della storia? Noi di Ecothema, concessionaria dei servizi didattici dei Musei Civici Scientifici di Trieste, siamo felici di presentare la rassegna Onde di Storia, una serie di visite guidate dedicate alla scoperta del Museo del Mare – ala Nord presso il Magazzino 26 in Porto Vecchio. Gli eventi, programmati per aprile e maggio 2024, invitano il pubblico a esplorare il legame intrinseco tra Trieste e il suo mare. Grazie ai numerosi reperti che arricchiscono il museo, si analizzerà come l’evoluzione portuale abbia plasmato la storia e lo sviluppo urbano della città.

Locandina appuntamenti ‘Onde di Storia’

La rassegna prenderà il via domenica 14 aprile, dalle 10.30 alle 12.00, con la visita Trieste e il Porto: evoluzione di una città. Il percorso narrerà la trasformazione del porto triestino, dalle sue origini ai giorni nostri, indagando come il commercio marittimo e le necessità logistiche abbiano modellato il profilo del capoluogo giuliano.

Il secondo appuntamento è fissato per sabato 11 maggio, dalle 10.30 alle 12.00, con La navigazione del passato e del presente. Questa visita guiderà i partecipanti attraverso la storia della navigazione, dalle epoche greco-romane fino all’era moderna, mettendo in luce le evoluzioni tecniche e gli importanti contributi dell’Impero austriaco nel campo marittimo.

La rassegna si concluderà domenica 26 maggio, sempre con orario 10.30-12.00, e si affronterà il tema Compagnie di navigazione. Esplorando l’ascesa di Trieste come nodo marittimo cruciale, il percorso metterà in evidenza come aziende storiche abbiano interpretato e cavalcato le onde di un mercato globalizzato, contribuendo significativamente all’economia locale e alla sua storia.

A guidare i partecipanti in questi avvincenti viaggi storici sarà il giornalista e storico locale Zeno Saracino, che darà vita al nostro patrimonio marittimo con curiosità e aneddoti affascinanti.
Non vi resta quindi che prenotare il vostro posto e immergervi in queste storie marittime indimenticabili. Ci vediamo al Museo del Mare – ala Nord!

Costo visita guidata a cura del concessionario: 8€ adulti, 5€ bambini (dai 6 ai 12 anni compresi), gratuito per i più piccoli. L’ingresso al museo è gratuito per tutti. Per informazioni dettagliate e prenotazioni contattare Ecothema all’indirizzo e-mail: ecothema@gmail.com o al numero telefonico: +39 320 2753277

Testi e immagini a cura dello Staff Ecothema

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Lo strano coccodrillo preistorico del Villaggio del Pescatore

Il quinto e ultimo appuntamento di Dialoghi di Scienza, presso il Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, ha offerto un ennesimo viaggio affascinante nel tempo, focalizzandosi sull’ Acinodonte (Acynodon adriaticus), un coccodrillo preistorico i cui resti sono stati rinvenuti al Villaggio del Pescatore, situato nel Comune di Duino Aurisina, vicino a Trieste. Il geologo Kevin Milocco, relatore dell’incontro, ha illustrato al pubblico le meraviglie di questo sito fossilifero unico.
Il Villaggio del Pescatore, infatti, si è rivelato una miniera di informazioni sul periodo del Cretaceo, mostrando che la biodiversità dell’epoca andava ben oltre i dinosauri – come i famosi Antonio e Bruno conservati nel museo triestino di storia naturale – con una varietà di organismi che offrono spunti per comprendere meglio gli ecosistemi antichi. Tra questi, vi è appunto l’Acynodon adriaticus che si presenta come una specie affascinante, offrendo un punto di vista diverso sulla fauna preistorica europea.
Milocco ha delineato la scoperta e lo studio dell’Acynodon, evidenziando l’unicità di questa specie rispetto ai coccodrilli contemporanei. L’Acinodonte, con le sue dimensioni ridotte e una dentatura peculiare, si distingue per le sue abitudini durofaghe, prediligendo molluschi e crostacei, diversamente dai suoi parenti moderni maggiormente carnivori.

Un momento dell’evento nella Sala Incontri del Museo

Il cenote del Villaggio del Pescatore

Il sito del Villaggio del Pescatore ha fornito non solo ossa ma anche importanti dati geologici e paleoambientali. Milocco ha sottolineato come il luogo sia stato un cenote, ovvero una formazione carsica che ha permesso la conservazione di una ricchezza di fossili unica. Questo ambiente, infatti, collassato e riempito d’acqua milioni di anni fa, ci ha restituito non solo resti di coccodrilli come l’Acinodonte ma anche un quadro dettagliato dell’ecosistema in cui questi organismi dimoravano. Una formazione carsica, quindi, che ha conservato in maniera eccellente i resti degli organismi che vi sono caduti o vi hanno vissuto, creando una capsula del tempo naturale risalente al tardo Cretaceo. Questi studi non solo arricchiscono la comprensione della paleobiodiversità ma aprono anche nuove domande sulla vita di questi organismi. Il lavoro minuzioso di stratigrafia, classificazione e interpretazione permette di aprire una finestra su un mondo perduto, offrendo spunti cruciali per la comprensione dell’evoluzione della vita sulla Terra. L’Acinodonte rappresenta un tassello fondamentale in questo intricato puzzle, simbolo della diversità e complessità della vita milioni di anni fa.

Il geologo Milocco descrive il reperto di Acinodonte conservato al Museo

Un’eredità di conoscenza

L’evento al Museo di Storia Naturale di Trieste ha rappresentato un’importante occasione di condivisione e scoperta, evidenziando come il passato, quando indagato con curiosità e rigore scientifico, continua a offrire spunti inesauribili di conoscenza. La scoperta dell’Acinodonte nel sito del Villaggio del Pescatore ci ricorda quanto sia cruciale preservare e studiare i nostri tesori paleontologici, veri e propri ponti verso epoche remote che ancora hanno molto da raccontare.
Kevin Milocco ha anche sottolineato, al pubblico presente, l’unicità del Museo di Storia Naturale di Trieste, che si distingue per la capacità di esporre reperti paleontologici locali. A differenza di altri musei, che spesso presentano reperti acquistati o ricostruiti, il museo triestino offre reperti non solo autentici ma anche provenienti dal proprio territorio, una rarità in Europa e nel mondo.

Reperto di Acinodonte conservato al museo e sua descrizione

Articolo e immagini a cura dello Staff di Ecothema

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Il Verde e la Scienza

Da alcune settimane, ha preso il via un nostro nuovo progetto dal titolo “Il Verde e la Scienza”. Finanziato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, intende promuovere l’integrazione della consapevolezza ambientale nell’educazione dei giovani. Con l’obiettivo di rendere accessibili concetti quali la crescita intelligente, sostenibile e solidale, il progetto si rivolge principalmente a studenti, ai quali è essenziale trasmettere tali nozioni fin dalla giovane età.

Il progetto

Il logo del progetto

“Il Verde e la Scienza” segue l’esperienza acquisita nei precedenti progetti “La Scuola in Natura I e II edizione”, realizzati anche loro grazie alle risorse messe a disposizione dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, mantenendo l’approccio di coinvolgimento attivo degli studenti ma arricchendolo con nuove modalità divulgative.
Al centro dell’iniziativa, vi è la realizzazione di percorsi scientifico-botanici dedicati alle piante spontanee e attività educative incentrate sull’importanza degli ecosistemi e sugli impatti umani che li minacciano. L’intento è di promuovere un’integrazione tra ecosistemi naturali e sistemi socioeconomici, sottolineando la rilevanza di un equilibrio per uno sviluppo sostenibile, selezionando piante significative per la salute, la cultura e l’ecologia. Questi spazi diventano così laboratori viventi dove gli studenti possono apprendere direttamente dalla natura.
Ovviamente non siamo soli in questo progetto. In primis, abbiamo la preziosa partnership di due Istituti Comprensivi, l’IC F.U. della Torre di Gradisca d’Isonzo e Farra d’Isonzo, nel territorio goriziano, e l’IC Tiziana Weiss di Trieste, che hanno deciso di coinvolgere i loro studenti e di mettere a disposizione gli spazi verdi delle loro sedi.
Una componente significativa del progetto, infatti, è la trasformazione dei giardini scolastici in orti botanici e luoghi di apprendimento. Inoltre, attraverso laboratori artistici, gli studenti partecipano alla creazione di mattonelle di ceramica che identificano le varie piante e di vasetti realizzati con il tornio per accogliere semi e piccole piante, trasformando così lo spazio in un museo all’aria aperta che permane oltre la durata del progetto. Per la parte artistica, ci avvaliamo della consolidata collaborazione con l’artista Paola Pisani che fa parte dell’Associazione Culturale Gruppo 78 di Trieste e dell’Associazione Arte Contemporanea Franco Europea (AACFE) di Parigi.

Le fasi

“Il Verde e la Scienza” si articola in due fasi principali: la progettazione e realizzazione del percorso botanico, e l’educazione ambientale diretta. L’approccio multisensoriale adottato mira a una conoscenza diretta e profonda della natura, attraverso esperienze che coinvolgono i sensi e stimolano la curiosità e la partecipazione attiva degli studenti.
In più, il progetto estende il suo raggio d’azione alla comunità in generale, attraverso l’organizzazione di eventi interculturali che legano la cultura scientifica a quella umanistica, promuovendo un dialogo intergenerazionale. Questi eventi intendono creare una trasmissione di conoscenze dinamica, dove gli adulti possono imparare dai giovani e viceversa, contribuendo alla costruzione di una comunità più coesa e consapevole delle tematiche ambientali.

Valorizzazione del Territorio

In sintesi, “Il Verde e la Scienza” non solo si propone di migliorare l’educazione ambientale all’interno delle scuole ma anche di influenzare positivamente la comunità nel suo complesso. Promuovendo un approccio più vivibile e sostenibile all’apprendimento e alla vita quotidiana, il progetto ambisce a lasciare un’impronta duratura sullo sviluppo sostenibile, ispirando future generazioni a diventare custodi consapevoli del loro ambiente.

Per informazioni sul progetto o eventuali partnership future potete contattarci via e-mail all’indirizzo ecothema@gmail.com

Nella gallery alcune immagini dell’avvio del progetto a cura dello Staff di Ecothema

Il progetto Il Verde e la Scienza è realizzato con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (Bando Divulgazione Scientifica 2023)


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Neanderthal: un altro aspetto della nostra umanità

Al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, il quarto appuntamento di Dialoghi di Scienza, svoltosi il 6 marzo 2024, ha illuminato un capitolo affascinante della nostra evoluzione. “Neanderthal: un altro aspetto della nostra umanità”, presentato dall’antropologa Alice Testa, ha permesso ai partecipanti di immergersi nelle storie degli antichi Neanderthal, sfatando miti e aprendo una finestra su un’epoca remota e sulla nostra comune eredità umana.

La scoperta e l’identificazione dei Neanderthal

Come ci ha raccontato la relatrice Testa, l’avventura della nostra comprensione dei Neanderthal inizia nel lontano 1856, nella valle di Neander, in Germania, dove i resti di una calotta cranica, rinvenuti da alcuni operai durante l’estrazione di calcare, hanno provocato stupore e confusione, dato l’aspetto insolito e le caratteristiche distintive, come l’arco sopraccigliare pronunciato. Il cammino verso la corretta identificazione dell’Homo neanderthalensis (Neander dal luogo del ritrovamento e tal dalla parola tedesca che vuol dire valle) è stato influenzato dal contesto scientifico e culturale dell’epoca, segnato dalla pubblicazione dell'”Origine delle specie” di Darwin. La determinazione dello studioso irlandese William King di classificare questi resti come una specie distinta, Homo neanderthalensis appunto, evidenzia un passaggio critico nel nostro modo di interpretare la diversità umana preistorica.

La cultura e lo stile di vita dei Neanderthal

Gli studi sulla cultura musteriana(*), caratterizzata dall’uso di strumenti in pietra finemente lavorati, rivelano un livello di sofisticazione tecnica e sociale dei Neanderthal. L’analisi degli strumenti litici, in particolare, ci offre uno sguardo sulla quotidianità di queste popolazioni, dimostrando capacità di adattamento, apprendimento e trasmissione di conoscenze all’interno dei gruppi. Scoperte come l’utilizzo di colla da bitume per realizzare strumenti compositi o l’ipotetica decorazione del corpo con penne di uccelli e conchiglie rafforzano l’idea di una società neanderthaliana complessa, capace di espressioni culturali e simboliche.

Le scoperte più recenti: una nuova immagine emerge

Le ricerche più recenti hanno trasformato radicalmente la nostra visione dei Neanderthal. Ad esempio, alcuni ritrovamenti hanno rilevato pratiche di sepoltura complesse e alcuni individui sepolti presentavano disabilità o malattie, suggerendo che all’interno dei gruppi Neanderthal vi fosse un sostegno sociale per i soggetti più vulnerabili. Questo comportamento riflette un senso di comunità e una capacità empatica, smentendo la visione dei Neanderthal come esseri primitivi e isolati.
Attraverso l’analisi genetica, è stato scoperto che i Neanderthal avevano prevalentemente la pelle chiara e i capelli rossi, e che esiste un’ibridazione tra Neanderthal e Homo sapiens: una parte di DNA Neanderthal è presente nelle popolazioni umane moderne, si stima fino al 4% del genoma nelle persone fuori dall’Africa.

Il rapporto con Homo sapiens e l’estinzione dei Neanderthal

L’interazione tra Neanderthal e Homo sapiens, come abbiamo visto sostenuta dalla genetica, illustra un panorama evolutivo intricato. Il processo di ibridazione suggerisce un contatto significativo, contraddicendo la visione di una competizione diretta e continua tra le specie.
L’estinzione dei Neanderthal rimane quindi un argomento di intensa speculazione e studio. L’integrazione, piuttosto che la semplice sostituzione da parte degli Homo sapiens, getta luce su un processo evolutivo che è stato tutto fuorché lineare. La dinamica tra competizione, coesistenza e ibridazione ha modellato il corso dell’evoluzione umana in modi che stiamo ancora cercando di comprendere pienamente. I Neanderthal rappresentano quindi una parte cruciale della nostra storia collettiva. Il loro studio ci permette di esplorare le radici della nostra esistenza e di riflettere sulla nostra identità come specie. Con ogni nuovo ritrovamento e ricerca, la narrazione dei Neanderthal si arricchisce, invitandoci a rivalutare la nostra comprensione del passato umano.

Prossimo appuntamento

Il quinto e ultimo appuntamento con Dialoghi di Scienza, previsto per il 27 marzo 2024, ci porterà a scoprire “Lo strano coccodrillo preistorico del Villaggio del Pescatore”. Guidati dal geologo Kevin Milocco, ci immergeremo nel misterioso mondo del Villaggio del Pescatore, dove, oltre ai celebri dinosauri Antonio e Bruno, viveva l’Acinodonte, un insolito coccodrillo preistorico. Attraverso i fossili rinvenuti, esploreremo la sua vita, la sua alimentazione e il suo ruolo nell’ecosistema del Cretaceo, svelando le tecniche paleontologiche che permettono di ricostruire le storie delle specie estinte.
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(*) Denominazione (derivata da un sito francese ➔ Le Moustier) con la quale si intendono gli aspetti preistorici del Paleolitico medio, di età riss-würmiana (80.000 anni fa) e würmiana (37-35.000 anni fa), diffusi in Europa e, in parte, in Africa e in Asia. In Europa e nel Vicino Oriente il termine è utilizzato per designare le industrie litiche prodotte dai Neandertaliani e dai Protocromagnonoidi, caratterizzate essenzialmente da tecnica di scheggiatura (levalloisiana e non-levalloisiana), da oggetti in osso e corno e da raschiatoi ricavati dai gusci di conchiglia (nei giacimenti costieri della penisola italiana).
Fonte: https://www.treccani.it/enciclopedia/musteriano/

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Tra Evoluzione e Biodiversità: da Darwin a oggi

Il Museo Civico di Storia Naturale di Trieste ha ospitato il terzo appuntamento di Dialoghi di Scienza, il ciclo di incontri partito in novembre 2023 e che tratta varie sfaccettature del mondo naturale attraverso le voci di esperti biologi, antropologi, naturalisti, geologi. “Tra evoluzione e biodiversità: da Darwin a oggi”, tenutosi lo scorso mercoledì 7 febbraio, ha offerto un’immersione nelle dinamiche evolutive che hanno plasmato la vita sulla Terra.
A parlarne è stato Marco Paparot, biologo, naturalista ed esperto in evoluzione, che ha guidato il pubblico in un percorso esplorativo, partendo dalle prime intuizioni di scienziati solitari fino ad arrivare alle teorie evolutive moderne di figure come Stephen Jay Gould. Questo incontro è stato programmato in prossimità del Darwin Day, che ricorre il 12 febbraio, celebrando così anticipatamente l’anniversario della nascita di Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione per selezione naturale.
Tra i vari aspetti stimolanti dell’incontro, è sicuramente da menzionare l’approccio critico nei confronti dei luoghi comuni sull’evoluzione, come la mal interpretata “legge del più forte”. Paparot ha chiarito come l’evoluzione non sia un processo lineare e non necessariamente crudele, ma piuttosto un intreccio di adattamenti, strategie di sopravvivenza e collaborazioni, che insieme vanno a comporre il complesso mosaico della biodiversità.

La Neotenia

Uno dei concetti affrontati è stato quello di neotenia che, nel contesto della biologia evolutiva, si riferisce al fenomeno per il quale, in un organismo adulto, tratti giovanili possono essere conservati perché vantaggiosi anche nella fase adulta, dimostrando la flessibilità e l’ingegnosità dell’evoluzione. La neotenia può essere osservata in diversi gruppi di organismi, dagli invertebrati ai vertebrati, e può influenzare sia la morfologia (aspetto esterno) sia il comportamento. Tra gli esempi di neotenia troviamo l’axolotl (Ambystoma mexicanum), una specie di salamandra che mantiene le sue branchie esterne e altre caratteristiche larvali per tutta la vita. Questo le consente di vivere in acqua per tutta la sua esistenza, senza quasi mai sottoporsi alla metamorfosi in una forma terrestre adulta, come invece fanno molte altre salamandre. Un esempio locale di neotenia è costituito dal Proteus anguineus delle acque carsiche sotterranee. Anche noi esseri umani siamo considerati un esempio di neotenia. Caratteristiche come una grande testa in proporzione al corpo, faccia piatta, e riduzione della peluria corporea sono tutte considerate manifestazioni di neotenia e questi tratti neotenici possono aver contribuito a favorire l’evoluzione del cervello umano e la capacità di partecipare a complesse interazioni sociali.

Fossili di transizione: ponti tra mondi

Altro tema di rilievo è stato quello dei fossili di transizione, testimoni inconfutabili dei percorsi evolutivi che collegano specie antiche a quelle moderne. L’Archaeopteryx e l’Ambulocetus sono stati presentati come ponti tra mondi viventi diversi, illustrando la fluidità e la complessità dell’evoluzione.
L’ Archaeopteryx, infatti, è considerato uno dei fossili di transizione più famosi. Esso collega i dinosauri non aviani agli uccelli. Vissuto circa 150 milioni di anni fa, aveva caratteristiche sia dei dinosauri (denti affilati, lunga coda ossea, artigli) sia degli uccelli moderni (piume, strutture ossee che suggeriscono la capacità di volare) e fornisce un esempio di come gli uccelli possano essere evoluti dai dinosauri teropodi.
L’ Ambulocetus, conosciuto come la “balena che cammina”, è invece un esempio di transizione tra mammiferi terrestri ancestrali e cetacei moderni (balene, delfini). Vissuto circa 50 milioni di anni fa, aveva caratteristiche sia di mammiferi terrestri (arti capaci di sostenere il suo peso sulla terra) sia di cetacei moderni (adattamenti per la vita acquatica, come arti posteriori ridotti e una struttura del corpo idrodinamica). Esso evidenzia la transizione evolutiva da mammiferi terrestri a mammiferi marini completamente acquatici.
Non è assolutamente da dimenticare l’Australopithecus afarensis, uno dei più noti possibili antenati umani come la famosa Lucy, che mostra caratteristiche di transizione tra antichi primati non umani e generi successivi, come il genere Homo. Vissuto circa 3,2 milioni di anni fa, aveva caratteristiche sia dei primati non umani (dimensioni cerebrali più piccole, facce pronunciate) sia degli umani moderni (bipedismo, alcuni adattamenti nel bacino e nelle gambe per camminare eretti) e aiuta a tracciare l’evoluzione del bipedismo e di altre caratteristiche umane distintive.

Un momento della visita al Gabinetto Scientifico

Exaptation: la seconda vita delle caratteristiche

Durante la visita al Gabinetto Scientifico e alla Wuderkammer del Museo, i partecipanti hanno potuto scoprire l’exaptation, concetto introdotto dai paleontologi Stephen Jay Gould ed Elisabeth Vrba nel 1982. Si tratta del processo per cui caratteristiche sviluppate per una funzione vengono riadattate per nuovi usi, mostrando come la natura sia abilissima a “riciclare” e innovare. Tra gli esempi, citati da Paparot, rientrano le piume degli uccelli. Si pensa che in origine le piume si siano evolute nei dinosauri con funzione di termoregolazione o per il corteggiamento, e che successivamente, siano state exaptate per il volo negli uccelli. Le piume conservano ancora le loro funzioni originali, ma ora sono anche strumentali per il volo, offrendo isolamento e capacità aerodinamiche. Altro esempio citato è stato quello della conchiglia dei molluschi, inizialmente come adattamento per la difesa dai predatori e successivamente utilizzata per colonizzare l’ambiente terrestre in quanto si è rivelata utile per evitare la perdita d’acqua.

Relatore e pubblico in visita alla Wunderkammer

Prossimo incontro

Sempre presso la Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, avrà luogo il prossimo appuntamento di Dialoghi di Scienza. Previsto per mercoledì 6 marzo 2024, promette di essere altrettanto interessante e stimolante. “Neanderthal: un altro aspetto della nostra umanità”, presentato dall’antropologa Alice Testa, esplorerà la storia e le misconcezioni legate a questi nostri “fratelli” evolutivi, offrendo un’occasione per avvicinarsi ai reperti neanderthaliani conservati nel Museo.
Gli appuntamenti di Dialoghi di Scienza non sono solo un’opportunità di apprendimento, sono anche un momento di riflessione sulla nostra posizione nel tessuto della vita. In un’epoca in cui la biodiversità è sotto pressione, comprendere l’evoluzione significa anche riconoscere il valore e la fragilità del nostro mondo naturale.

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Le farfalle tra mare e Carso

Protagoniste le farfalle al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste per il secondo appuntamento del ciclo di incontri ‘Dialoghi di Scienza’, svoltosi lo scorso mercoledì 10 gennaio. Grazie al relatore Eugenio Melotti, biologo, giornalista scientifico e appassionato di entomologia, il pubblico ha potuto apprezzare lo straordinario mondo dei lepidotteri che conosciamo più comunemente con i nomi di farfalle e falene. La proiezione delle immagini, arricchite dalle spiegazioni di Melotti, ha offerto una carrellata sulla vita e le varie tipologie di questi affascinanti insetti, in particolare di quelli presenti nella zona di Trieste e nelle altre aree del Friuli Venezia Giulia.

Dopo una breve introduzione sul termine Lepidotteri (dal greco lepis=’squama, scaglia’ e pteron=’ala’), sul fatto che sono definiti insetti olometaboli, ovvero a metamorfosi completa, che vanno distinti in Ropaloceri (farfalle) e Eteroceri (falene), si è passati a conoscere la Vanessa io o Occhio di Pavone (Aglais io) una farfalla diurna molto diffusa e riconoscibile, appartenente alla famiglia delle Nymphalidae.  Nota per le sue spettacolari ali, presenta una vivace colorazione di fondo arancione con bordi scuri e grandi macchie a forma di occhio su entrambe le ali. Questi occhi servono ad intimidire i predatori, simulando quelli di un animale più grande. Con un’apertura alare che varia tra i 50 e i 65 millimetri, è una delle farfalle più grandi e vistose presenti nel nostro continente, ma è comune anche in parti dell’Asia. Una delle caratteristiche più interessanti di questa specie è la sua capacità di sopravvivere all’inverno in stato di ibernazione, spesso nascosta in fessure o cavitá. A primavera, gli adulti escono dal letargo e riprendono a volare per nutrirsi e riprodursi.

Una farfalla notturna in passato rara nell’area di Trieste ma ora, a causa del clima più temperato, diventata comune, è la Sfinge dell’oleandro (Daphnis nerii) appartenente alla famiglia delle Sphingidae, conosciuta per le ali lunghe e sottili con un pattern che varia dal verde chiaro al grigio, spesso con sfumature rosa o viola. Le ali posteriori sono tipicamente color rosa brillante con un bordo nero e una banda bianca. Ha un corpo robusto, con linee nere e bianche alternate sull’addome. La troviamo sugli oleandri, in quanto le sue larve si nutrono prevalentemente delle foglie di queste piante, dove depongono le uova. I bruchi sono verdi o gialli con bande trasversali e una sorta di ‘corno’ caratteristico sulla parte posteriore. Dopo il periodo di crescita, i bruchi si trasformano in pupa, da cui emerge la farfalla adulta. La Sfinge dell’oleandro gioca un ruolo importante nell’impollinazione.

È impossibile descrivere qui i numerosissimi e coloratissimi lepidotteri di cui si è parlato durante l’evento ma sicuramente merita ricordare i tanti e meravigliosi esemplari osservati durante la visita al Gabinetto Scientifico e alla Wunderkammer del Museo, per la maggior parte provenienti dall’ Asia e dall’America Latina. Tra di loro attira subito l’attenzione la Caligo teucer, comunemente nota come farfalla civetta o farfalla gufo a causa dei disegni a forma di occhio sulle ali, che ricordano appunto gli occhi di un gufo o di una civetta. Le sue ali possono raggiungere anche i 15-20 centimetri, presentano il lato superiore di solito marrone scuro o bluastro scuro, mentre il lato inferiore ha gli ocelli caratteristici. Queste macchie oculari sono un meccanismo di difesa per scoraggiare eventuali attacchi.

Una delle curiosità che ha affascinato molto il pubblico, è stata la spiegazione della colorazione delle ali delle farfalle. Può essere influenzata sia da fattori genetici che ambientali e può derivare da due principali processi: la pigmentazione e la struttura delle ali. Nel primo caso, alcuni colori sono il risultato di pigmenti chimici che assorbono certe lunghezze d’onda della luce e ne riflettono altre. Ad esempio, la melanina produce colori scuri come marrone o nero, mentre altri pigmenti possono produrre colori come il giallo, l’arancione o il rosso. Questi colori assolvono a varie funzioni, come il mimetismo, l’attrazione di compagni, la segnalazione di velenosità o sgradevolezza per i predatori.
Riguardo alla struttura delle ali, Melotti ha spiegato che molti dei colori più vivaci e iridescenti sono il risultato di strutture microscopiche, presenti appunto sulle ali, che rifrangono e riflettono la luce in modi specifici. Questo fenomeno, noto come colorazione strutturale, può creare effetti spettacolari, come sfumature brillanti di blu, verde, o anche colori che cambiano a seconda dell’angolo di visione. I colori strutturali sono spesso utilizzati nei corteggiamenti o come segnali visivi in altre interazioni sociali. La variazione nei colori delle ali può essere significativa tra specie diverse, ma anche tra maschi e femmine della stessa specie. Spesso, i maschi hanno colori più vivaci o modelli più complessi sulle ali rispetto alle femmine, utilizzati per attrarre queste ultime o dissuadere i rivali. Inoltre, i colori e i modelli sulle ali delle farfalle possono anche essere legati all’ambiente  in cui vivono. Ad esempio, le farfalle che vivono in foreste ombrose possono avere colori più scuri o modelli che le aiutano a mimetizzarsi tra le foglie e i tronchi degli alberi.

Dopo questo interessante e coinvolgente evento, non ci resta che invitarvi al terzo appuntamento di ‘Dialoghi di Scienza’, che si terrà sempre al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, in programma per il 7 febbraio 2024, dalle 17:30 alle 18:30, intitolato “Tra evoluzione e biodiversità: da Darwin a oggi’. A parlare sarà Marco Paparot, biologo e presidente di Ecothema, che, trattando gli aspetti cruciali del pensiero evolutivo, da Darwin e Wallace a Stephen Jay Gould, ci guiderà in un viaggio attraverso le complessità e le bellezze dell’evoluzione biologica. Paparot si propone anche di sfatare alcuni miti e inesattezze comuni sull’evoluzione, come la percezione errata che essa sia una “legge del più forte” o che dipinga un’immagine crudele della natura.
Come anticipazione al Darwin Day, che ricorre il 12 febbraio, questo evento rappresenta un’opportunità per immergersi nelle meraviglie e nelle comprensioni scientifiche dell’evoluzione, un tema che continua a ispirare e illuminare il nostro posto nel mondo naturale.

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Alla scoperta delle origini dell’uomo

Lo scorso mercoledì 29 novembre pomeriggio, al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, ha avuto inizio il ciclo di appuntamenti “Dialoghi di Scienza” con il primo incontro dal titolo “Alla scoperta delle origini dell’uomo”.

La Sala Incontri del Museo è stata quindi teatro di un viaggio affascinante attraverso il tempo, un’immersione nelle profondità della nostra storia evolutiva. “Cosa sappiamo sull’evoluzione umana e cosa invece non sappiamo?” è la domanda che ha fatto da filo conduttore per il tema portante di questo evento.

Il biologo Marco Paparot, relatore dell’incontro, ha guidato il pubblico attraverso i meandri della paleoantropologia, rendendo comprensibili concetti che spesso rimangono confinati nei testi accademici.

Tra i vari momenti dell’incontro, sicuramente il racconto della storia del famoso Uomo di Piltdown è uno di quelli che ha colpito il pubblico; un esempio eclatante di frode scientifica. Nel Sussex, in Gran Bretagna, tra il 1912 e il 1914, venne annunciato il ritrovamento di presunti resti di un ominide dal cranio grande e dalla mandibola simile a quella di una scimmia. All’epoca venne spacciata come la scoperta dell'”anello mancante” nella storia dell’evoluzione umana. Solo nel 1953, si riuscì a scoprire che si trattava di un inganno poiché il fossile era stato in realtà creato assemblando i resti di un uomo e di un orango.

Un momento dell’incontro

Anche la figura di Lucy, l’Australopithecus afarensis, ritrovata in Etiopia nel novembre del 1974, ha rappresentato un altro punto focale della presentazione. Lucy, con i suoi oltre 3 milioni di anni, continua a essere una delle scoperte più significative, ma non risolutive, per comprendere l’evoluzione umana. La discussione sulle sue ossa e sul significato della sua struttura fisica ha fornito spunti di riflessione sulla nostra posizione eretta e sulla locomozione bipede, caratteristiche distintive della nostra evoluzione. Si tratta di uno dei fossili più completi trovati di un antenato umano, composto da 52 ossa, inclusi arti, mandibola, frammenti del cranio, costole, vertebre e il bacino, che rivelò il sesso femminile del soggetto. Si racconta che il nome “Lucy” fu scelto dai paleoantropologi, ispirati dalla canzone “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles, ascoltata frequentemente nel loro accampamento.

La Mandibola di Lonche

Oltre alla ricca presentazione, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di esplorare la sala ominidi, osservando da vicino reperti come la mandibola di Lonche, che non solo parla di millenni di storia, ma che ancora oggi continua a svelare segreti sorprendenti. Scoperta nel 1911 da Giuseppe Müller, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste dal 1928 al 1945, in una piccola caverna presso Lonche (oggi Loka, in Istria settentrionale, Slovenia), questa mandibola rappresenta un importante legame con il nostro passato evolutivo ed è testimonianza delle sorprendenti capacità mediche dei nostri antenati. La rivelazione della presenza di cera d’api nel canino della mandibola come forma di “otturazione” ha lasciato il pubblico affascinato, mostrando come i nostri antenati fossero molto più avanzati di quanto spesso si tenda a credere.

Dopo questa interessante apertura di ‘Dialoghi di Scienza’, siamo già pronti a immergerci nel prossimo affascinante capitolo. Vi invitiamo quindi a unirvi a noi mercoledì 10 gennaio 2024, dalle 17:30 alle 18:30, per il secondo appuntamento dal titolo ‘Le farfalle tra mare e Carso’, con il giornalista scientifico Eugenio Melotti come relatore.

In questo incontro, ci addentreremo nel colorato mondo delle farfalle, esplorando la loro biodiversità e il ruolo vitale che svolgono negli ecosistemi del mare e del Carso. Eugenio Melotti, con la sua esperienza e passione per la scienza, ci guiderà attraverso le storie uniche e le sfide ambientali che queste creature affrontano.