Riprendono le attività presso i Civici Musei Scientifici di Trieste! Siamo felici di annunciare che riprendiamo le nostre attività presso i Civici Musei Scientifici di Trieste. Dopo la pausa estiva,
"Le intuizioni inaspettate hanno rimodellato in maniera radicale quel che pensiamo di sapere sulla storia della vita e sulle componenti funzionali degli esseri viventi, compresi noi stessi." (David Quammen, L'albero
"Galoppa selvaggia, la paura del lupo per noi, che siamo legati al mondo della natura da un filo ormai esile" (Riccardo Rao, Il tempo dei lupi) Negli ultimi decenni, la
"Abbiamo incoraggiato l'evoluzione di altre specie, le quali a loro volta hanno determinato le sorti della nostra vita". (Edmund Russel, Storia ed Evoluzione) "Storia ed Evoluzione" è un libro di
Il giardino di casa nostra potrà anche avere un aspetto incolto, ma se lo lasciamo così è perchè vogliamo lasciargli il suo equilibrio spontaneo. Tagliando l'erba ogni settimana, si toglie
Sabato 8 agosto abbiamo organizzato un'escursione "in gemellaggio" assieme alle bravissime guide di Esplora Carso, nella foresta di Tarnova.Il punto di ritrovo era a Gorizia, alle prime ore del mattino.
Riprendono le attività presso i Civici Musei Scientifici di Trieste!
Siamo felici di annunciare che riprendiamo le nostre attività presso i Civici Musei Scientifici di Trieste. Dopo la pausa estiva, siamo pronti a tornare e a condividere con voi tutte le novità e le iniziative dedicate agli istituti scolastici e al pubblico in generale.
Open Day per gli Insegnanti – Presentazione dell’Offerta Educativa
Sabato 23 settembre 2023 alle ore 11.00 presso l’Auditorium “Marco Sofianopulo” del Museo Revoltella (Via Diaz 27 – Trieste), avrà luogo la presentazione delle attività didattiche, educative e di divulgazione culturale e scientifica dei Civici Musei del Comune di Trieste.
Interverranno l’Amministrazione Comunale e i rappresentanti di ADMaiora srl, concessionari dei servizi per i Civici Musei Storici e Artistici e noi di Ecothema Soc. Coop., concessionari dei servizi per i CiviciMusei Scientifici.
In questa occasione verrà illustrato il ventaglio di offerte educative pensate, in particolare, per le attività rivolte alle scuole di ogni ordine e grado.
I nostri team, rispettivamente di ADmaiora e di Ecothema, saranno lì per rispondere a tutte le vostre domande e per darvi un’anteprima di ciò che abbiamo pianificato per i prossimi mesi.
Per partecipare all’incontro è necessario iscriversi compilando il modulo online disponibile cliccando sul bottone qui sotto
Per ricevere maggiori informazioni ed effettuare prenotazioni di attività didattiche, educative e di divulgazione scientifica presso i Civici Musei Scientifici di Trieste, potete contattarci telefonicamente al numero (+39) 320 2753277 o via posta elettronica all’indirizzo ecothema@gmail.com
“Le intuizioni inaspettate hanno rimodellato in maniera radicale quel che pensiamo di sapere sulla storia della vita e sulle componenti funzionali degli esseri viventi, compresi noi stessi.” (David Quammen, L’albero intricato)
“L’Albero Intricato” è un libro di David Quammen, tradotto e pubblicato in Italia a cura di Adelphi edizioni.
L’argomento principale del testo riguarda la forma concettuale con cui immaginiamo l’evoluzione della vita.
La grande intuizione di Darwin fu di concepire l’evolversi delle specie non come una situazione statica, nè come cammino lineare, ma con una forma ramificata, un “cespuglio” della vita fatto di biforcazioni che corrispondono alla continua nascita di nuove specie nel tempo, e anche all’estinzione di altre.
Se l’idea di Darwin fu rivoluzionaria e pionieristica nello studio dell’evoluzione della vita sul nostro pianeta, è ovvio però che nuove scoperte e nuovi paradigmi scientifici non possono che portare a una ridefinizione del nostro modo di concepirla.
Un’evoluzione del modo di concepire l’evoluzione, dunque: con una scelta molto interessante, Quammen sceglie di parlare di questo rinnovamento tramite le vite di scienziati e ricercatori che esplorarono questo campo, portando ciascuno il proprio apporto e i cambiamenti corrispondenti.
Il protagonista principale, forse, è Carl Woese, biologo statunitense noto per aver scoperto un nuovo dominio della vita: gli Archea, organismi unicellulari con caratteristiche uniche, che nell’ottica di Woese erano vicini all’origine stessa della vita.
Ma la forza del libro è di essere una polifonia, un racconto corale che ridefinisce costantemente il campo di studi, che è la vita stessa. Il testo racconta ad esempio di Lynn Margulis, scienziata americana che studiò il fenomeno dell’endosimbiosi; oppure di Ford Doolittle, che studiò il trasferimento genico orizzontale.
Proprio il trasferimento genico orizzontale è il fenomeno che più ha stravolto il modo con cui la scienza concepisce l’evoluzione, e come tale trova ampia risonanza all’interno del libro. Gli organismi non mutano soltanto per linea “verticale”, mutando casualmente il proprio corredo genetico e passandolo alla discendenza; ma c’è un interscambio genetico anche fra specie diverse. Tramite virus e batteri, intere porzioni del DNA passano da una creatura all’altra: da piante a batteri, da questi batteri agli animali, e persino all’essere umano.
L’albero dell’evoluzione, dunque, non è semplicemente ramificato come lo concepiva Darwin, ma è piuttosto un complesso reticolo: forse più simile a una spugna che a un albero. Si tratta di un cambiamento di concezione che non è facile accettare: una volta che stabiliamo una nostra visione consolidata su un argomento, è difficile stravolgerla e accettarne una nuova. Proprio in questo sta la scelta vincente di Quammen: raccontare questo cambiamento attraverso le vite degli scienziati che l’hanno studiato, ci permette di capire che ognuno porta un proprio cambiamento, ma è anche attaccato alla propria visione, e non accetta di buon grado ulteriori novità.
Oltre all’interessantissimo tema che tratta, dunque, il pregio de “L’albero intricato” è di essere un’inno alla continua ricerca, alla capacità della scienza di mettersi sempre in discussione, anche di abbandonare teorie comprovate e sicure qualora nuove scoperte o nuove intuizioni indichino una via che può portare a conoscenze ancora da svelare.
“Galoppa selvaggia, la paura del lupo per noi, che siamo legati al mondo della natura da un filo ormai esile” (Riccardo Rao, Il tempo dei lupi)
Negli ultimi decenni, la popolazione di lupi nei paesi europei sta tornando ad ampliarsi, dopo aver sfiorato l’estinzione a causa dell’accanita caccia che l’uomo gli ha opposto. Se gli studiosi naturalisti e i simpatizzanti animalisti se ne rallegrano, c’è anche chi non vede di buon occhio questo ritorno. Allevatori, specialmente di pecore, che vedono minacciato il proprio gregge; cacciatori che temono la competizione di questo formidabile predatore; ma anche la gente comune, preda di un retaggio culturale che ha dipinto il lupo come un mostro quasi diabolico, il nemico fiabesco per antonomasia.
“Il tempo dei lupi” è un libro recentemente edito da Utet e scritto da Riccardo Rao, professore di Storia Medievale presso l’Università di Bergamo. L’autore svolge una approfondita ricerca storica sul rapporto, anche immaginale, fra il lupo e l’uomo, tracciandone lo sviluppo attraverso i secoli, e cercando la radice della paura che proviamo verso questo animale. Una paura che spesso si dice atavica, ma che come Rao dimostra è di fatto culturale, nata in tempi relativamente recenti ed alimentata da una specifica concezione del mondo che si è imposta sulla nostra società.
L’origine della oscura fama del lupo è da ricercarsi nell’impianto allegorico dei Vangeli: alla figura della pecora e del gregge, corrispondenti al fedele e alla comunità, si contrapponeva appunto la minaccia lupina, che incarnava le passioni e i peccati – come la lussuria, la gola, l’avidità e l’ira – ma anche l’eresia. Col passare del tempo, la parte metaforica è scivolata in un letteralismo che ha portato a individuare il lupo in carne ed ossa come una minaccia per l’intera civiltà: un pericolo da eliminare ad ogni costo.
L’autore riesce nel delicato compito di coniugare l’esattezza biologica con la complessità del divenire storico. Intanto perchè la società cambia: nel corso del Medioevo si è andata via via affermando un’economia sempre più basata sull’allevamento ovino, ed è chiaro che ciò ha aumentato l’incompatibilità del lupo con gli affari umani. Ma anche il paesaggio cambia: l’avanzata della civiltà corrisponde alla distruzione del bosco, l’habitat d’elezione del lupo. Ciò significa minor spazio e minor fonte di cibo per questo predatore, che si trova così costretto a tentare la sorte e avvicinarsi alle attività umane. E’ anche a causa dell’abbattimento delle grandi foreste, infatti, se il lupo è stato portato a predare animali allevati dall’uomo, e occasionalmente anche attaccare i giovani pastori che li accudivano. Questo dimostra che anche il lupo, in fin dei conti, cambia con il passare dei secoli: il lupo, secondo Rao, è un animale “culturale”, proprio perchè ha la capacità di adattarsi e modificare il suo comportamento alle circostanze. Un lupo del VI secolo non è lo stesso di un lupo del 2020. L’idea che un animale possa cambiare nel corso della storia è importante nello studio dell’ecologia e nella ricerca di una convivenza fra l’uomo e la parte più selvatica della natura; un concetto che spesso non trova la giusta risonanza.
Un altro merito del libro è l’approfondita disamina sul ruolo del lupo nel folklore: da Cappuccetto Rosso al lupo di Gubbio, fino a episodi più recenti come quello della bestia di Gévaudan, e della belva che terrorizzò Milano nel 1792. Straordinario, per l’intensità che comunica, è poi il capitolo su Ana Maria, la “pastora di lupi” delle Asturie. Non si tratta di una ricerca confinata al passato: le idee sottostanti a queste narrazioni folkloriche, tutto sommato, si trovano espresse ancora nei nostri giorni, nelle reazioni popolari e nelle leggende metropolitane collegate all’odierno ritorno dei lupi. Mai come in questo caso, lo studio della storia è di estrema importanza per comprendere l’attualità.
(Recensione a cura di Gaia Zanin e Francesco Boer)
“Abbiamo incoraggiato l’evoluzione di altre specie, le quali a loro volta hanno determinato le sorti della nostra vita“. (Edmund Russel, Storia ed Evoluzione)
“Storia ed Evoluzione“ è un libro di Edmund Russell, recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri.
Lo scopo dichiarato di questo libro è di gettare un ponte fra lo studio scientifico dell’evoluzione e l’approccio umanistico alla storia umana. I due aspetti, infatti, non sono così separati come si ritiene, ma al contrario c’è una fitta rete di relazioni fra i due, che porta a una reciproca influenza sia sulle vicende della società umana, che sull’ambiente in cui viviamo.
L’essere umano gioca un ruolo importante nell’evoluzione delle specie. Un ruolo che a volte è deliberato, mentre in altri casi è inconsapevole. E’ noto l’esempio della selezione artificiale, che in agricoltura e negli allevamenti ha portato alla modificazione anche considerevole delle caratteristiche di una specie. Ma non sempre le cose vanno come pianificato. Anzi, a volte l’intervento umano porta a risultati opposti rispetto all’intenzione originaria. Russell porta l’esempio degli elefanti: il bracconaggio per ottenere l’avorio ha favorito l’emergere in sempre maggior numero di individui privi di zanne. Questi infatti non vengono cacciati, e dunque sopravvivono e hanno una maggior probabilità di avere una discendenza con il medesimo carattere. Una simile dinamica ci tocca molto da vicino per quanto riguarda il controllo di insetti nocivi e batteri: il crescente utilizzo di insetticidi e antibiotici porta alla comparsa di popolazioni sempre più resistenti, ponendo una sfida difficile, una continua rincorsa che non è semplice mantenere.
Non è soltanto l’essere umano a influenzare l’evoluzione delle altre specie; vale anche l’opposto. La modificazione di specie vegetali e animali porta per forza di cose a nuovi sviluppi nella tecnica e di conseguenza nella civiltà e negli usi. La storia del cotone viene presentata nel testo come emblematica rispetto a questa reciprocità. La selezione artificiale ha portato alla comparsa di varietà di cotone con fibre notevolmente più lunghe rispetto a quelle spontanee. Ciò ha permesso lo sviluppo di macchinari industriali, che invece non funzionavano adeguatamente con fibre di misura ridotta. Questo ha portato dunque a un balzo in avanti nella rivoluzione industriale: ecco come l’intervento umano e l’evoluzione delle specie vengano a formare un circolo retroattivo, influenzandosi e alimentandosi a vicenda.
A chiusura del libro, l’autore riporta una serie di tabelle che indicano diverse forze sociali che hanno plasmato l’evoluzione, e le forze evolutive che hanno influenzato la storia umana. L’augurio di Russell – che ci sentiamo di condividere – chiude degnamente un libro al tempo stesso innovativo, preciso e comprensibile: “La storia ci aiuta a comprendere la complessità umana; la biologia evoluzionistica ci aiuta a capire il modo in cui le popolazioni di organismi coevolvono; insieme, la sintesi di storia e di biologia ci permette di decodificare il mondo intorno a noi meglio di quanto questi due campi non possano fare da soli“.
Il giardino di casa nostra potrà anche avere un aspetto incolto, ma se lo lasciamo così è perchè vogliamo lasciargli il suo equilibrio spontaneo. Tagliando l’erba ogni settimana, si toglie lo spazio in cui vivono insetti, rospi e altri piccoli animali.
E’ così che una mattina di agosto abbiamo incontrato fra l’erba questo simpatico bruchetto:
Si tratta di un bruco della sfinge dell’euforbia (Hyles euphorbiae). Da adulto diventa una splendida falena, ma qui è ancora allo stadio larvale. Il suo nome deriva proprio dall’abitudine di mangiare l’euforbia. I suoi splendenti colori servono per allontanare eventuali predatori: il pattern di rosso/bianco/nero è infatti un segnale diffuso di pericolosità. Serve a preavvisare: non mangiatemi, perchè sono velenoso, pericoloso, o perlomeno indigesto. C’è da dire che alcuni animali barano, e usano questo segnale anche se effettivamente sono innocui e appetitosi: una strategia chiamata “mimetismo batesiano”. Ma nel caso del nostro bruco, si tratta di un messaggio onesto: l’euforbia di cui si nutre ha un lattice caustico, e perciò anche la larva prende un sapore non certo piacevole. Il corno sul sedere del bruco, invece, è una piccola bugia: non è veramente un aculeo, non ha veleno nè è in grado di ferire; ma serve ugualmente a scoraggiare altri animali malintenzionati. Inoltre, a causa del corno, capita che i predatori più ostinati scambino quello che in realtà è il termine del corpo per una testa: così attaccano in quella zona, causando meno danni di quanti ne farebbero colpendo il capo.
Abbiamo deciso di raccogliere il bruco, e di tenerlo in un terrario per poterlo osservare nella fase che precede alla metamorfosi. Allevarli non è difficile: basta lasciare a loro disposizione abbondanti rametti di euforbia. Le piante devono essere sempre fresche; e attenzione, perchè l’appetito di questi bruchi è davvero massiccio! Inoltre è necessario che ci sia un po’ di terra: a differenza delle altre farfalle, che formano il bozzolo direttamente sul ramo di una pianta, le sfingi scavano nel terreno, e lì si impupano.
Il nostro bruco ha mangiato a quattro palmenti, ma dopo alcuni giorni non si è più visto: era sceso sottoterra, per prepararsi alla metamorfosi. E dopo meno di una settimana, dalla terra è uscita una splendida falena, con un elegante contrasto di verdi scuri i e rosa pallidi.
Naturalmente, abbiamo scelto di liberarla, facendola volare nel nostro giardino. Ma prima di spiccare il volo, è necessario scaldare i motori!
La sfinge deve agitare le ali per asciugarle, e anche per scaldare il corpo. Dopo alcuni minuti, finalmente si parte: la falena ci svolazza attorno, come per salutarci, e poi parte, fino a scomparire all’orizzonte. Chissà, forse tornerà per deporre le uova, e anche il prossimo anno troveremo i suoi bruchi fra l’erba del giardino!
Sabato 8 agosto abbiamo organizzato un’escursione “in gemellaggio” assieme alle bravissime guide di Esplora Carso, nella foresta di Tarnova. Il punto di ritrovo era a Gorizia, alle prime ore del mattino. Già a quell’ora la temperatura iniziava a essere molto calda… ma per fortuna basta mezz’ora di macchina, e si arriva in questa foresta freschissima.
Foto by Gaia Zanin – Ecothema
Dopo un giro di presentazioni, è il momento di partire. Il cammino è facile, su una strada sterrata con pendenze leggerissime. Ci si inoltra nella foresta di abeti e di faggi: la quiete del bosco ci avvolge, si sente un profumo di resina e foglie. La città, con i suoi problemi e la sua frenesia, sembra distante anni luce – un altro mondo.
Foto by Yannick Fanin – Esplora Carso
Da subito il sottobosco svela i suoi colorati segreti. Farfalle come l’Argynnis, arancione a macchioline scure, o l’Erebia, con il suo cupo manto segnato di rosso vivo. La Colias, dalle ali color giallo intenso: a vederla volare, pare un fiore sospeso nell’aria. La Vanessa atalanta, con i suoi colori esplosivi, bianco nero e rosso: non a caso il suo nome comune è “vulcano”.
Ma non c’erano solo farfalle. Fra i fiori c’erano anche api domestiche e selvatiche, i bombi, e coleotteri come il Leptura: un cerambicide che imita i colori delle vespe, per allontanare con l’inganno i predatori. Questo invece è un icneumonide, una piccola ed elegante vespa:
Foto by Gaia Zanin – Ecothema
Si prosegue il cammino. Dopo pochi passi, ci si para di fronte un ospite inatteso. Una dei partecipanti richiama l’attenzione su una piccola cosina che si muove, proprio in mezzo al sentiero. Ci chiniamo per osservarla, e la sorpresa è davvero bella: è un Morimus funereus, un altro cerambicide, estremamente raro e protetto dalla legge. Il nome, a dir poco lugubre, è dovuto al colore un po’ funebre delle sue ali; una tinta grigio scuro, quasi azzurra, triste ma allo stesso tempo molto bella. La sua presenza, però, è un segno positivo: è un insetto molto delicato, e se lo si incontra significa che il bosco è in buona salute, e l’aria è pulita.
Il Morimus funereus è un’animale xilofago; si nutre cioè di legno morto, di rami e tronchi in decomposizione. Anche per questo è importante riconsiderare la gestione del bosco: spesso si crede che pulirlo eliminando rami e alberi morti contribuisca alla salute del bosco, ma in realtà non si fa che impoverirne la biodiversità.
Foto by Yannick Fanin – Esplora Carso
A osservarlo da vicino, notiamo che alla povera bestiolina manca un’antenna. Spesso è così: la vita è dura, e anche nel bosco non risparmia colpi bassi. L’osservazione dà il via all’immaginazione: come sarà successo? Il morso di un predatore, lo scontro con un ciclista sul sentiero, un incidente di volo?
Nella foresta non abitano soltanto gli insetti. Nelle pozzanghere è possibile imbattersi nelle tracce dei grandi mammiferi che abitano in questa zona.
Foto by Gaia Zanin – Ecothema
Queste sono le orme di un ungulato. Come ci ha spiegato Marta Pieri di Esplora Carso, si tratta di un piccolo di capriolo: si possono distinguere le orme da quelle dei cerbiatti perchè in questo periodo dell’anno i giovani del cervo non sono più così piccoli!
A questo punto siamo arrivati in un luogo dall’atmosfera a dir poco magica: la Ledena Jama, che letteralmente significa “grotta ghiacciata”. E’ una profonda dolina, che sul fondo prosegue con una grotta dall’ampia imboccatura. Già avvicinandosi si sente che l’aria è fresca, anzi, decisamente fredda: giunti alla caverna, infatti, si incontra addirittura il ghiaccio, rimasto lì ancora da questo inverno! In passato, quando non c’erano i frigoriferi, grotte come queste erano un’importante risorsa: il ghiaccio veniva estratto in grossi cubi, che venivano destinati alla vendita nelle città circostanti.
Foto by Yannick Fanin – Esplora Carso
Fra una meraviglia e l’altra, sono già passate 5 ore. Nel bosco il tempo scorre con leggerezza e quiete: quasi non ci si accorge, ma è già l’ora di tornare. Lungo la discesa verso il parcheggio, però, la foresta ci lascia un ultimo dono: la penna di un rapace notturno.
Foto by Gaia Zanin – Ecothema
Il faunista Yannick Fanin di Esplora Carso ci ha spiegato come riconoscere le penne di un rapace notturno: le parte terminale delle barbette è sfrangiata, come se avesse le “doppie punte”: è un accorgimento che rende il volo dell’animale estremamente silenzioso, permettendogli così di piombare sulla preda senza farsi scoprire. La penna potrebbe appartenere all’Allocco degli Urali, un magnifico strigide che frequenta la foresta di Tarnova.
Infine, viene il momento di salutarsi e tornare a casa. Ma sia noi che i ragazzi di Esplora Carso stiamo già preparando nuove escursioni, per portarvi a scoprire gli stupendi luoghi naturali che circondano le nostre zone!
In questi giorni abbiamo poi ricevuto una straordinaria notizia: sarà nuovamente possibile organizzare visite guidate nei musei scientifici di Trieste! Presto ve ne parleremo più dettagliatamente
Per sabato 8 agosto stiamo organizzando un’escursione nella foresta di Tarnova, assieme alle bravissime guide di Esplora Carso. E’ una foresta in Slovenia, a pochi chilometri da Gorizia, subito oltre il confine. Un luogo incontaminato, in cui la natura mostra tutta la sua bellezza a selvaggia. Ci vivono uccelli e insetti rari, anfibi e rettili, l’orso e la lince, persino il lupo…
Per studiare il percorso, siamo andati a fare un sopralluogo insieme a Marta e Yannick, le guide di Esplora Carso. E’ stata una bellissima passeggiata all’ombra del bosco, in un’atmosfera da sogno.
Nel sottobosco c’erano molti fiori stupendi, come l’Astranta major (una specie protetta della famiglia delle Apiacee) e la la Dactylorhiza maculata (un’orchidea, anch’essa protetta). Non mancavano le farfalle, fra qui questa del genere Erebia.
Abbiamo poi avuto la fortuna di incontrare l’ululone dal ventre giallo, un piccolo anfibio al tempo stesso timido e vistoso. Quando rimane fermo in acqua, è molto difficile vederlo, perchè il dorso ha un colore scuro e molto mimetico. Quando però viene disturbato da un predatore, l’ulone si capovolge, e mostra la pancia, che è di uno splendido colore giallo brillante. Il predatore sa che questa tinta vivace è un segnale ben preciso: meglio non mangiare quell’animale, perchè è velenoso. Con questa doppia strategia, l’uluone sfrutta i benefici di due mimetismi diversi: quello criptico e quello aposematico. L’aposematismo, o colorazione vessillare, consiste infatti nel “dichiarare” apertamente la propria pericolosità attraverso colori vivaci, per scoraggiare in partenza eventuali predatori.
Se volete scoprire questa foresta meravigliosa, venite assieme a noi il prossimo sabato, 8 agosto 2020. Cammineremo fra alberi maestosi, sulle tracce di lupi e orsi. Vi racconteremo tutti i segreti dei selvaggi abitanti di questo bosco.
Il ritrovo è alle ore 9.15 a Gorizia; l’escursione dura 5 ore e mezza. Il percorso è facile e adatto a tutti, con dislivelli minimi. Si raccomanda comunque l’utilizzo di calzature tecniche (scarpe da ginnastica o scarponcini) ed abbigliamento adeguato (a strati, pantaloni lunghi per la presenza di zecche). Portare con sé acqua e pranzo al sacco; consigliato un binocolo per vedere uccelli e altri animali. L’escursione verrà svolta in caso di bel tempo, si fa riferimento alle previsioni di http://www.meteo.arso.gov.si entro il giorno precedente all’escursione.
Il costo è di 12 € per adulti, 8 € per bambini fino ai 6 anni. La prenotazione è obbligatoria, scrivendo una mail a pieri.marta.guidanat@gmail.com o telefonando al +393279570474 (anche Whatsapp) Marta.
Un dinosaurico grazie a tutti i partecipanti alla conferenza del 23 luglio! 🦖🦕🦖🦕 Ci ha fatto davvero piacere vedere l’interesse con cui ci avete seguito, e la vostra passione nelle domande finali 😊
Era la prima conferenza online che organizzavamo, ma anche dal punto di vista tecnologico è filato tutto liscio! A metà conferenza è arrivato persino un temporale estivo di quelli belli forti, e il pensiero che un fulmine potesse causare un blackout o far cadere la linea ci ha messo un po’ di strizza… ma nemmeno i tuoni sono riusciti a fermare i dinosauri!
Vi ricordiamo che il prossimo giovedì (30 luglio) ci sarà la seconda conferenza online dedicata ai dinosauri carnivori. Potrete seguirla anche se non avete partecipato alla prima…
Come si immaginavano i dinosauri, quando sono stati rinvenuti i primi fossili? E come sono cambiati nel corso del tempo, grazie alle nuove scoperte e alle innovazioni scientifiche?
Abbiamo deciso di organizzare due conferenze online sulla piattaforma ZOOM. Il 23 luglio si parlerà dei dinosauri erbivori, mentre il 30 luglio sarà la volta dei carnivori. L’ inizio è alle ore 18:00, la durata è di circa un’ora e mezza. Il costo per la partecipazione è di 6 € a serata. Si può anche scegliere di partecipare soltanto a uno degli appuntamenti.
I primi scopritori di fossili di dinosauri si trovarono di fronte a un vero e proprio enigma. I resti erano pochi e sparsi ed era davvero difficile immaginare come doveva esser stata la bestia a cui appartenevano. Per ricostruirla, non restava che usare la fantasia. Dall’incontro fra scienza e immaginazione è nata così una nuova disciplina: la paleoarte. Vi mostreremo i quadri dei più famosi pittori di paleoarte dei secoli scorsi. Sono veri e propri capolavori di creatività e talento: laddove mancavano le prove scientifiche arrivava l’immaginazione e l’arte. Andremo avanti nel tempo fino ad arrivare al “rinascimento dei dinosauri” degli anni ’80, quando nuovi fossili e nuove scoperte stravolsero l’immagine dei dinosauri: da quel momento non vennero più dipinti come grossi e stupidi lucertoloni, ma come belve feroci. In linea con le mode del tempo, i colori si fecero sgargianti, quasi fluo, con pose a volte bizzarre e divertenti. Da Jurassic Park in poi, si apre una nuova era nell’immaginario dei dinosauri. Un’epoca fatta di altre fantastiche scoperte, di computer grafica e nuove tecniche di illustrazione. Ma è ai nostri giorni che possiamo assistere a una vera e propria rivoluzione: le ultime scoperte di fossili ci svelano che molti dinosauri avevano addirittura le piume!
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