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Tra Evoluzione e Biodiversità: da Darwin a oggi

Il Museo Civico di Storia Naturale di Trieste ha ospitato il terzo appuntamento di Dialoghi di Scienza, il ciclo di incontri partito in novembre 2023 e che tratta varie sfaccettature del mondo naturale attraverso le voci di esperti biologi, antropologi, naturalisti, geologi. “Tra evoluzione e biodiversità: da Darwin a oggi”, tenutosi lo scorso mercoledì 7 febbraio, ha offerto un’immersione nelle dinamiche evolutive che hanno plasmato la vita sulla Terra.
A parlarne è stato Marco Paparot, biologo, naturalista ed esperto in evoluzione, che ha guidato il pubblico in un percorso esplorativo, partendo dalle prime intuizioni di scienziati solitari fino ad arrivare alle teorie evolutive moderne di figure come Stephen Jay Gould. Questo incontro è stato programmato in prossimità del Darwin Day, che ricorre il 12 febbraio, celebrando così anticipatamente l’anniversario della nascita di Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione per selezione naturale.
Tra i vari aspetti stimolanti dell’incontro, è sicuramente da menzionare l’approccio critico nei confronti dei luoghi comuni sull’evoluzione, come la mal interpretata “legge del più forte”. Paparot ha chiarito come l’evoluzione non sia un processo lineare e non necessariamente crudele, ma piuttosto un intreccio di adattamenti, strategie di sopravvivenza e collaborazioni, che insieme vanno a comporre il complesso mosaico della biodiversità.

La Neotenia

Uno dei concetti affrontati è stato quello di neotenia che, nel contesto della biologia evolutiva, si riferisce al fenomeno per il quale, in un organismo adulto, tratti giovanili possono essere conservati perché vantaggiosi anche nella fase adulta, dimostrando la flessibilità e l’ingegnosità dell’evoluzione. La neotenia può essere osservata in diversi gruppi di organismi, dagli invertebrati ai vertebrati, e può influenzare sia la morfologia (aspetto esterno) sia il comportamento. Tra gli esempi di neotenia troviamo l’axolotl (Ambystoma mexicanum), una specie di salamandra che mantiene le sue branchie esterne e altre caratteristiche larvali per tutta la vita. Questo le consente di vivere in acqua per tutta la sua esistenza, senza quasi mai sottoporsi alla metamorfosi in una forma terrestre adulta, come invece fanno molte altre salamandre. Un esempio locale di neotenia è costituito dal Proteus anguineus delle acque carsiche sotterranee. Anche noi esseri umani siamo considerati un esempio di neotenia. Caratteristiche come una grande testa in proporzione al corpo, faccia piatta, e riduzione della peluria corporea sono tutte considerate manifestazioni di neotenia e questi tratti neotenici possono aver contribuito a favorire l’evoluzione del cervello umano e la capacità di partecipare a complesse interazioni sociali.

Fossili di transizione: ponti tra mondi

Altro tema di rilievo è stato quello dei fossili di transizione, testimoni inconfutabili dei percorsi evolutivi che collegano specie antiche a quelle moderne. L’Archaeopteryx e l’Ambulocetus sono stati presentati come ponti tra mondi viventi diversi, illustrando la fluidità e la complessità dell’evoluzione.
L’ Archaeopteryx, infatti, è considerato uno dei fossili di transizione più famosi. Esso collega i dinosauri non aviani agli uccelli. Vissuto circa 150 milioni di anni fa, aveva caratteristiche sia dei dinosauri (denti affilati, lunga coda ossea, artigli) sia degli uccelli moderni (piume, strutture ossee che suggeriscono la capacità di volare) e fornisce un esempio di come gli uccelli possano essere evoluti dai dinosauri teropodi.
L’ Ambulocetus, conosciuto come la “balena che cammina”, è invece un esempio di transizione tra mammiferi terrestri ancestrali e cetacei moderni (balene, delfini). Vissuto circa 50 milioni di anni fa, aveva caratteristiche sia di mammiferi terrestri (arti capaci di sostenere il suo peso sulla terra) sia di cetacei moderni (adattamenti per la vita acquatica, come arti posteriori ridotti e una struttura del corpo idrodinamica). Esso evidenzia la transizione evolutiva da mammiferi terrestri a mammiferi marini completamente acquatici.
Non è assolutamente da dimenticare l’Australopithecus afarensis, uno dei più noti possibili antenati umani come la famosa Lucy, che mostra caratteristiche di transizione tra antichi primati non umani e generi successivi, come il genere Homo. Vissuto circa 3,2 milioni di anni fa, aveva caratteristiche sia dei primati non umani (dimensioni cerebrali più piccole, facce pronunciate) sia degli umani moderni (bipedismo, alcuni adattamenti nel bacino e nelle gambe per camminare eretti) e aiuta a tracciare l’evoluzione del bipedismo e di altre caratteristiche umane distintive.

Un momento della visita al Gabinetto Scientifico

Exaptation: la seconda vita delle caratteristiche

Durante la visita al Gabinetto Scientifico e alla Wuderkammer del Museo, i partecipanti hanno potuto scoprire l’exaptation, concetto introdotto dai paleontologi Stephen Jay Gould ed Elisabeth Vrba nel 1982. Si tratta del processo per cui caratteristiche sviluppate per una funzione vengono riadattate per nuovi usi, mostrando come la natura sia abilissima a “riciclare” e innovare. Tra gli esempi, citati da Paparot, rientrano le piume degli uccelli. Si pensa che in origine le piume si siano evolute nei dinosauri con funzione di termoregolazione o per il corteggiamento, e che successivamente, siano state exaptate per il volo negli uccelli. Le piume conservano ancora le loro funzioni originali, ma ora sono anche strumentali per il volo, offrendo isolamento e capacità aerodinamiche. Altro esempio citato è stato quello della conchiglia dei molluschi, inizialmente come adattamento per la difesa dai predatori e successivamente utilizzata per colonizzare l’ambiente terrestre in quanto si è rivelata utile per evitare la perdita d’acqua.

Relatore e pubblico in visita alla Wunderkammer

Prossimo incontro

Sempre presso la Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, avrà luogo il prossimo appuntamento di Dialoghi di Scienza. Previsto per mercoledì 6 marzo 2024, promette di essere altrettanto interessante e stimolante. “Neanderthal: un altro aspetto della nostra umanità”, presentato dall’antropologa Alice Testa, esplorerà la storia e le misconcezioni legate a questi nostri “fratelli” evolutivi, offrendo un’occasione per avvicinarsi ai reperti neanderthaliani conservati nel Museo.
Gli appuntamenti di Dialoghi di Scienza non sono solo un’opportunità di apprendimento, sono anche un momento di riflessione sulla nostra posizione nel tessuto della vita. In un’epoca in cui la biodiversità è sotto pressione, comprendere l’evoluzione significa anche riconoscere il valore e la fragilità del nostro mondo naturale.

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Le farfalle tra mare e Carso

Protagoniste le farfalle al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste per il secondo appuntamento del ciclo di incontri ‘Dialoghi di Scienza’, svoltosi lo scorso mercoledì 10 gennaio. Grazie al relatore Eugenio Melotti, biologo, giornalista scientifico e appassionato di entomologia, il pubblico ha potuto apprezzare lo straordinario mondo dei lepidotteri che conosciamo più comunemente con i nomi di farfalle e falene. La proiezione delle immagini, arricchite dalle spiegazioni di Melotti, ha offerto una carrellata sulla vita e le varie tipologie di questi affascinanti insetti, in particolare di quelli presenti nella zona di Trieste e nelle altre aree del Friuli Venezia Giulia.

Dopo una breve introduzione sul termine Lepidotteri (dal greco lepis=’squama, scaglia’ e pteron=’ala’), sul fatto che sono definiti insetti olometaboli, ovvero a metamorfosi completa, che vanno distinti in Ropaloceri (farfalle) e Eteroceri (falene), si è passati a conoscere la Vanessa io o Occhio di Pavone (Aglais io) una farfalla diurna molto diffusa e riconoscibile, appartenente alla famiglia delle Nymphalidae.  Nota per le sue spettacolari ali, presenta una vivace colorazione di fondo arancione con bordi scuri e grandi macchie a forma di occhio su entrambe le ali. Questi occhi servono ad intimidire i predatori, simulando quelli di un animale più grande. Con un’apertura alare che varia tra i 50 e i 65 millimetri, è una delle farfalle più grandi e vistose presenti nel nostro continente, ma è comune anche in parti dell’Asia. Una delle caratteristiche più interessanti di questa specie è la sua capacità di sopravvivere all’inverno in stato di ibernazione, spesso nascosta in fessure o cavitá. A primavera, gli adulti escono dal letargo e riprendono a volare per nutrirsi e riprodursi.

Una farfalla notturna in passato rara nell’area di Trieste ma ora, a causa del clima più temperato, diventata comune, è la Sfinge dell’oleandro (Daphnis nerii) appartenente alla famiglia delle Sphingidae, conosciuta per le ali lunghe e sottili con un pattern che varia dal verde chiaro al grigio, spesso con sfumature rosa o viola. Le ali posteriori sono tipicamente color rosa brillante con un bordo nero e una banda bianca. Ha un corpo robusto, con linee nere e bianche alternate sull’addome. La troviamo sugli oleandri, in quanto le sue larve si nutrono prevalentemente delle foglie di queste piante, dove depongono le uova. I bruchi sono verdi o gialli con bande trasversali e una sorta di ‘corno’ caratteristico sulla parte posteriore. Dopo il periodo di crescita, i bruchi si trasformano in pupa, da cui emerge la farfalla adulta. La Sfinge dell’oleandro gioca un ruolo importante nell’impollinazione.

È impossibile descrivere qui i numerosissimi e coloratissimi lepidotteri di cui si è parlato durante l’evento ma sicuramente merita ricordare i tanti e meravigliosi esemplari osservati durante la visita al Gabinetto Scientifico e alla Wunderkammer del Museo, per la maggior parte provenienti dall’ Asia e dall’America Latina. Tra di loro attira subito l’attenzione la Caligo teucer, comunemente nota come farfalla civetta o farfalla gufo a causa dei disegni a forma di occhio sulle ali, che ricordano appunto gli occhi di un gufo o di una civetta. Le sue ali possono raggiungere anche i 15-20 centimetri, presentano il lato superiore di solito marrone scuro o bluastro scuro, mentre il lato inferiore ha gli ocelli caratteristici. Queste macchie oculari sono un meccanismo di difesa per scoraggiare eventuali attacchi.

Una delle curiosità che ha affascinato molto il pubblico, è stata la spiegazione della colorazione delle ali delle farfalle. Può essere influenzata sia da fattori genetici che ambientali e può derivare da due principali processi: la pigmentazione e la struttura delle ali. Nel primo caso, alcuni colori sono il risultato di pigmenti chimici che assorbono certe lunghezze d’onda della luce e ne riflettono altre. Ad esempio, la melanina produce colori scuri come marrone o nero, mentre altri pigmenti possono produrre colori come il giallo, l’arancione o il rosso. Questi colori assolvono a varie funzioni, come il mimetismo, l’attrazione di compagni, la segnalazione di velenosità o sgradevolezza per i predatori.
Riguardo alla struttura delle ali, Melotti ha spiegato che molti dei colori più vivaci e iridescenti sono il risultato di strutture microscopiche, presenti appunto sulle ali, che rifrangono e riflettono la luce in modi specifici. Questo fenomeno, noto come colorazione strutturale, può creare effetti spettacolari, come sfumature brillanti di blu, verde, o anche colori che cambiano a seconda dell’angolo di visione. I colori strutturali sono spesso utilizzati nei corteggiamenti o come segnali visivi in altre interazioni sociali. La variazione nei colori delle ali può essere significativa tra specie diverse, ma anche tra maschi e femmine della stessa specie. Spesso, i maschi hanno colori più vivaci o modelli più complessi sulle ali rispetto alle femmine, utilizzati per attrarre queste ultime o dissuadere i rivali. Inoltre, i colori e i modelli sulle ali delle farfalle possono anche essere legati all’ambiente  in cui vivono. Ad esempio, le farfalle che vivono in foreste ombrose possono avere colori più scuri o modelli che le aiutano a mimetizzarsi tra le foglie e i tronchi degli alberi.

Dopo questo interessante e coinvolgente evento, non ci resta che invitarvi al terzo appuntamento di ‘Dialoghi di Scienza’, che si terrà sempre al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, in programma per il 7 febbraio 2024, dalle 17:30 alle 18:30, intitolato “Tra evoluzione e biodiversità: da Darwin a oggi’. A parlare sarà Marco Paparot, biologo e presidente di Ecothema, che, trattando gli aspetti cruciali del pensiero evolutivo, da Darwin e Wallace a Stephen Jay Gould, ci guiderà in un viaggio attraverso le complessità e le bellezze dell’evoluzione biologica. Paparot si propone anche di sfatare alcuni miti e inesattezze comuni sull’evoluzione, come la percezione errata che essa sia una “legge del più forte” o che dipinga un’immagine crudele della natura.
Come anticipazione al Darwin Day, che ricorre il 12 febbraio, questo evento rappresenta un’opportunità per immergersi nelle meraviglie e nelle comprensioni scientifiche dell’evoluzione, un tema che continua a ispirare e illuminare il nostro posto nel mondo naturale.

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Alla scoperta delle origini dell’uomo

Lo scorso mercoledì 29 novembre pomeriggio, al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, ha avuto inizio il ciclo di appuntamenti “Dialoghi di Scienza” con il primo incontro dal titolo “Alla scoperta delle origini dell’uomo”.

La Sala Incontri del Museo è stata quindi teatro di un viaggio affascinante attraverso il tempo, un’immersione nelle profondità della nostra storia evolutiva. “Cosa sappiamo sull’evoluzione umana e cosa invece non sappiamo?” è la domanda che ha fatto da filo conduttore per il tema portante di questo evento.

Il biologo Marco Paparot, relatore dell’incontro, ha guidato il pubblico attraverso i meandri della paleoantropologia, rendendo comprensibili concetti che spesso rimangono confinati nei testi accademici.

Tra i vari momenti dell’incontro, sicuramente il racconto della storia del famoso Uomo di Piltdown è uno di quelli che ha colpito il pubblico; un esempio eclatante di frode scientifica. Nel Sussex, in Gran Bretagna, tra il 1912 e il 1914, venne annunciato il ritrovamento di presunti resti di un ominide dal cranio grande e dalla mandibola simile a quella di una scimmia. All’epoca venne spacciata come la scoperta dell'”anello mancante” nella storia dell’evoluzione umana. Solo nel 1953, si riuscì a scoprire che si trattava di un inganno poiché il fossile era stato in realtà creato assemblando i resti di un uomo e di un orango.

Un momento dell’incontro

Anche la figura di Lucy, l’Australopithecus afarensis, ritrovata in Etiopia nel novembre del 1974, ha rappresentato un altro punto focale della presentazione. Lucy, con i suoi oltre 3 milioni di anni, continua a essere una delle scoperte più significative, ma non risolutive, per comprendere l’evoluzione umana. La discussione sulle sue ossa e sul significato della sua struttura fisica ha fornito spunti di riflessione sulla nostra posizione eretta e sulla locomozione bipede, caratteristiche distintive della nostra evoluzione. Si tratta di uno dei fossili più completi trovati di un antenato umano, composto da 52 ossa, inclusi arti, mandibola, frammenti del cranio, costole, vertebre e il bacino, che rivelò il sesso femminile del soggetto. Si racconta che il nome “Lucy” fu scelto dai paleoantropologi, ispirati dalla canzone “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles, ascoltata frequentemente nel loro accampamento.

La Mandibola di Lonche

Oltre alla ricca presentazione, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di esplorare la sala ominidi, osservando da vicino reperti come la mandibola di Lonche, che non solo parla di millenni di storia, ma che ancora oggi continua a svelare segreti sorprendenti. Scoperta nel 1911 da Giuseppe Müller, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste dal 1928 al 1945, in una piccola caverna presso Lonche (oggi Loka, in Istria settentrionale, Slovenia), questa mandibola rappresenta un importante legame con il nostro passato evolutivo ed è testimonianza delle sorprendenti capacità mediche dei nostri antenati. La rivelazione della presenza di cera d’api nel canino della mandibola come forma di “otturazione” ha lasciato il pubblico affascinato, mostrando come i nostri antenati fossero molto più avanzati di quanto spesso si tenda a credere.

Dopo questa interessante apertura di ‘Dialoghi di Scienza’, siamo già pronti a immergerci nel prossimo affascinante capitolo. Vi invitiamo quindi a unirvi a noi mercoledì 10 gennaio 2024, dalle 17:30 alle 18:30, per il secondo appuntamento dal titolo ‘Le farfalle tra mare e Carso’, con il giornalista scientifico Eugenio Melotti come relatore.

In questo incontro, ci addentreremo nel colorato mondo delle farfalle, esplorando la loro biodiversità e il ruolo vitale che svolgono negli ecosistemi del mare e del Carso. Eugenio Melotti, con la sua esperienza e passione per la scienza, ci guiderà attraverso le storie uniche e le sfide ambientali che queste creature affrontano.